Il mio malessere è ciclico, evidentemente.
Come un sacco di altre cose.
Solo che non segue un processo regolare e prevedibile, e così ogni volta mi trova impreparata.
Se avesse una cadenza mensile sarebbe diverso, saprei quando aspettarmi "questo" e, non so, mi organizzerei in qualche modo, per non essere sola per esempio. Barerei, cercherei in ogni modo di fregarlo.
Ma probabilmente lui si sposterebbe di un giorno, e il gioco sarebbe uguale a prima.
Forse, se riuscissi davvero a capire questo, mi sentirei meglio.
Probabilmente il trucco sta nel lasciar fluire le cose, nell'accettare questa sensazione, nel lasciare che faccia il suo corso, perchè solo così la si può esorcizzare.
Ripeto a me stessa che sono migliorata.
Ma ancora non ci credo.
E vorrei cancellare fette di passato.
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lunedì 16 agosto 2010
giovedì 20 maggio 2010
decisioni
Vorrei raccontarti quello che ho fatto oggi.
Non sono sicura che approveresti, nè che ti interesserebbe. Non tanto per te, quanto per l'argomento.
Oggi mi sono impegnata.
Davvero.
Alla fine ho anche accettato quel piccolo incarico, non che mi piaccia, non che sia gratificante, ma sapevo che questa sarebbe stata la scelta più sensata, in questo momento.
Mi domando cosa ne penseresti tu, se ti chiedessi un'opinione.
Mi piacerebbe che mi dicessi che ho fatto bene. Dopotutto, tutti desideriamo essere approvati, no?
Poi ho scritto. ho cercato di mettere in parole un'idea.
l'unica persona a cui ne ho parlato mi ha detto "se continui a impegnarti in queste cose, finirai sotto un ponte", una sottile allusione al fatto che i miei progetti sono validi sul piano umano, ma non fanno girare soldi.
Cosa diresti tu?
Troveresti inutile questo mio pomeriggio, o ti piacerebbe il mio impegno donchisciottesco?
Continuo a domandarmi cosa ne penseresti tu.
Faccio un leggero sforzo, a non scriverti, per dirtelo. Per sapere la tua opinione.
Lo faccio perchè, più forte del desiderio di condivisione, al momento c'è la paura di disturbare, di infastidire, di appesantire.
E' giusto, questo?
Forse sì, è giusto avere riguardi verso una persona a cui tieni.
Forse no, si dovrebbe sentirsi liberi di esprimere se stessi.
Comunque sia, racconto a me stessa la mia giornata di oggi.
Vorrei sentirmi meglio, vorrei che non fosse così vago, il mio senso di aver fatto la scelta giusta.
Vorrei essere sicura di me, sicura di quello che faccio.
Forse allora non avrei nemmeno bisogno di raccontarlo ad altri, mi basterebbe la mia calma sicurezza.
Dopotutto le mie scelte non coinvolgono altri che me, anche se io le faccio ponderando pro e contro anche su di te, pensa un po'.
Anche su questo, chissà che opinione avresti. Che è sciocco? O che è giusto?
Non lo so.
So solo come mi sento in questo momento. Ed è una parola che non mi piace per niente.
Non sono sicura che approveresti, nè che ti interesserebbe. Non tanto per te, quanto per l'argomento.
Oggi mi sono impegnata.
Davvero.
Alla fine ho anche accettato quel piccolo incarico, non che mi piaccia, non che sia gratificante, ma sapevo che questa sarebbe stata la scelta più sensata, in questo momento.
Mi domando cosa ne penseresti tu, se ti chiedessi un'opinione.
Mi piacerebbe che mi dicessi che ho fatto bene. Dopotutto, tutti desideriamo essere approvati, no?
Poi ho scritto. ho cercato di mettere in parole un'idea.
l'unica persona a cui ne ho parlato mi ha detto "se continui a impegnarti in queste cose, finirai sotto un ponte", una sottile allusione al fatto che i miei progetti sono validi sul piano umano, ma non fanno girare soldi.
Cosa diresti tu?
Troveresti inutile questo mio pomeriggio, o ti piacerebbe il mio impegno donchisciottesco?
Continuo a domandarmi cosa ne penseresti tu.
Faccio un leggero sforzo, a non scriverti, per dirtelo. Per sapere la tua opinione.
Lo faccio perchè, più forte del desiderio di condivisione, al momento c'è la paura di disturbare, di infastidire, di appesantire.
E' giusto, questo?
Forse sì, è giusto avere riguardi verso una persona a cui tieni.
Forse no, si dovrebbe sentirsi liberi di esprimere se stessi.
Comunque sia, racconto a me stessa la mia giornata di oggi.
Vorrei sentirmi meglio, vorrei che non fosse così vago, il mio senso di aver fatto la scelta giusta.
Vorrei essere sicura di me, sicura di quello che faccio.
Forse allora non avrei nemmeno bisogno di raccontarlo ad altri, mi basterebbe la mia calma sicurezza.
Dopotutto le mie scelte non coinvolgono altri che me, anche se io le faccio ponderando pro e contro anche su di te, pensa un po'.
Anche su questo, chissà che opinione avresti. Che è sciocco? O che è giusto?
Non lo so.
So solo come mi sento in questo momento. Ed è una parola che non mi piace per niente.
mercoledì 19 maggio 2010
interiore
Quando mi sento come oggi, l'unica cosa che riesco a fare è scrivere.
Perchè vorrei parlare, vorrei aprirmi a qualcuno, ma sono frenata dalle ultime volte che l'ho fatto, sono frenata dai risultati e dal mio caratteraccio, probabilmente.
Forse se fossi più coraggiosa ce la farei, a parlare con calma, senza mangiarmi le parole.
Forse se non mi vergognassi di tutta questa mia tristezza.
La vergogna è un sentimento strano, a me fa venire paura di parlare, paura di confidarmi.
Ho paura di cosa penserebbe l'altra persona di queste mie tristezze, ho paura che troverebbe infantili i miei timori, i miei problemi. O più che altro il mio modo di gestirli e i sentimenti che mi provocano.
Guardandomi intorno ho una visione falsata. Me ne rendo conto ma non riesco a vedere diversamente da così.
Mi domando dove ho sbagliato. E poi mi dico che se questa vita la sto facendo a rovescio, devo cambiare qualcosa e andare verso la direzione che volevo...ma è qui il problema.
Io ci sto provando, ad andare in quella direzione. E' questo che poi mi butta giù.
Quante volte ancora potrò sbagliare? E quante volte ancora avrò la forza di provare di nuovo?
Io non sono capace, è questo che mi dice la vocetta in testa. Mi dice che questa è l'ennesima riprova. Quante altre dimostrazioni voglio della mia inettitudine?
Ho finito di scrivere la lettera d'amore per il concorso. La rileggo e penso che anche se non è del tutto vera, è anche molto meno finta di quanto non sembri.
Sarebbe preoccupante, se ci fosse qualcuno che ci si potesse preoccupare sopra.
A volte mi guardo allo specchio e mi vedo. Sono una bomba ad orologeria, ecco cosa sono.
Forse è questa la spiegazione di tutto. Una parte di me è consapevole di questo, e agisce di conseguenza, ma lo fa nell'ombra, senza nemmeno il coraggio di mostrarsi.
Ci sono giorni, come oggi, in cui mi rendo conto che sto davvero aspettando. Ed è brutto dirlo, e brutto anche pernsarlo, ma lo sto facendo. A volte guardo quelle facce e penso "quanti anni ancora?". Perchè nel momento in cui non saranno, nel momento magari in cui si rifugeranno in uno spazio tempo personale e sospeso in cui non ci sarà spazio per me...cosa sarà allora?
Quando ci penso, quando li guardo e penso "quanto tempo ancora?" sento il ticchettio del mio timer farsi più forte. E a quel punto cosa mi tratterrà? Niente, dice la vocetta.
Ma a quel punto, poi, sarebbe così grave? Un albero che cade in una foresta, fa rumore se non c'è nessuno a sentirlo?
Perchè vorrei parlare, vorrei aprirmi a qualcuno, ma sono frenata dalle ultime volte che l'ho fatto, sono frenata dai risultati e dal mio caratteraccio, probabilmente.
Forse se fossi più coraggiosa ce la farei, a parlare con calma, senza mangiarmi le parole.
Forse se non mi vergognassi di tutta questa mia tristezza.
La vergogna è un sentimento strano, a me fa venire paura di parlare, paura di confidarmi.
Ho paura di cosa penserebbe l'altra persona di queste mie tristezze, ho paura che troverebbe infantili i miei timori, i miei problemi. O più che altro il mio modo di gestirli e i sentimenti che mi provocano.
Guardandomi intorno ho una visione falsata. Me ne rendo conto ma non riesco a vedere diversamente da così.
Mi domando dove ho sbagliato. E poi mi dico che se questa vita la sto facendo a rovescio, devo cambiare qualcosa e andare verso la direzione che volevo...ma è qui il problema.
Io ci sto provando, ad andare in quella direzione. E' questo che poi mi butta giù.
Quante volte ancora potrò sbagliare? E quante volte ancora avrò la forza di provare di nuovo?
Io non sono capace, è questo che mi dice la vocetta in testa. Mi dice che questa è l'ennesima riprova. Quante altre dimostrazioni voglio della mia inettitudine?
Ho finito di scrivere la lettera d'amore per il concorso. La rileggo e penso che anche se non è del tutto vera, è anche molto meno finta di quanto non sembri.
Sarebbe preoccupante, se ci fosse qualcuno che ci si potesse preoccupare sopra.
A volte mi guardo allo specchio e mi vedo. Sono una bomba ad orologeria, ecco cosa sono.
Forse è questa la spiegazione di tutto. Una parte di me è consapevole di questo, e agisce di conseguenza, ma lo fa nell'ombra, senza nemmeno il coraggio di mostrarsi.
Ci sono giorni, come oggi, in cui mi rendo conto che sto davvero aspettando. Ed è brutto dirlo, e brutto anche pernsarlo, ma lo sto facendo. A volte guardo quelle facce e penso "quanti anni ancora?". Perchè nel momento in cui non saranno, nel momento magari in cui si rifugeranno in uno spazio tempo personale e sospeso in cui non ci sarà spazio per me...cosa sarà allora?
Quando ci penso, quando li guardo e penso "quanto tempo ancora?" sento il ticchettio del mio timer farsi più forte. E a quel punto cosa mi tratterrà? Niente, dice la vocetta.
Ma a quel punto, poi, sarebbe così grave? Un albero che cade in una foresta, fa rumore se non c'è nessuno a sentirlo?
venerdì 12 marzo 2010
momenti
come questo.
Notizie che arrivano. Quelle spiacevoli.
Notizie che non arrivano. Quelle attese.
Provo con la musichetta trash.
Provo coi guantoni sul sacco.
Provo poi spengo tutto e smetto anche di picchiare.
perchè quando piangi poi vedi tutto sfuocato e rischi di prendere il muro, anzichè l'imbottitura.
Vorrei un abbraccio in cui rifugiarmi. Occhi e orecchie chiuse al mondo, almeno per un po'.
Notizie che arrivano. Quelle spiacevoli.
Notizie che non arrivano. Quelle attese.
Provo con la musichetta trash.
Provo coi guantoni sul sacco.
Provo poi spengo tutto e smetto anche di picchiare.
perchè quando piangi poi vedi tutto sfuocato e rischi di prendere il muro, anzichè l'imbottitura.
Vorrei un abbraccio in cui rifugiarmi. Occhi e orecchie chiuse al mondo, almeno per un po'.
lunedì 1 marzo 2010
domenica 14 febbraio 2010
Sono semplicemente triste. e' rilassante avere un posto mio in cui scriverlo, in cui poter dire che sono solo e semplicemente triste.
E' quello che sento. E sarà stanchezza, anche. Sarà malinconia, sarà tono dell'umore depresso, sarà pessimismo, sarà fragilità.
Sono triste. di una tristezza plumbea e pesante come un cappotto bagnato.
Al momento mi sento così.
Come la statua in mezzo al laghetto al parc de la ciutadela.
Poi vista da fuori non lo so, come sono, e non è che abbia al momento un'importanza particolare.
io mi vedo come sono dentro, so come mi sento.
So la fatica e l'energia che ci metto, per non affondare del tutto, anche se al momento non pare essere di grande effetto, il mio sforzo.
Però io so che lo sto facendo. non è poco, saperlo, per me.
Credo che presto, appena potrò farlo, fuggirò. Per poco, come sempre. ma senza dire a nessuno, salirò su un treno, di quelli veloci. E arriverò nella città che più amo, così piena di gente e di storia.
Dove, tra l'altro, non conosco nessuno. O comunque, diciamo, dove non incontrerò, è certo, nessuno che conosco. Porterò in giro i miei occhi pieni di temporali e farò visita a quella piccola casa editrice. Ecco cosa farò. Anche se non so se sia un buon farmaco, per questa tristezza desolante, mi premierò così per i miei sforzi falliti.
E' quello che sento. E sarà stanchezza, anche. Sarà malinconia, sarà tono dell'umore depresso, sarà pessimismo, sarà fragilità.
Sono triste. di una tristezza plumbea e pesante come un cappotto bagnato.
Al momento mi sento così.
Come la statua in mezzo al laghetto al parc de la ciutadela.
Poi vista da fuori non lo so, come sono, e non è che abbia al momento un'importanza particolare.
io mi vedo come sono dentro, so come mi sento.
So la fatica e l'energia che ci metto, per non affondare del tutto, anche se al momento non pare essere di grande effetto, il mio sforzo.
Però io so che lo sto facendo. non è poco, saperlo, per me.
Credo che presto, appena potrò farlo, fuggirò. Per poco, come sempre. ma senza dire a nessuno, salirò su un treno, di quelli veloci. E arriverò nella città che più amo, così piena di gente e di storia.
Dove, tra l'altro, non conosco nessuno. O comunque, diciamo, dove non incontrerò, è certo, nessuno che conosco. Porterò in giro i miei occhi pieni di temporali e farò visita a quella piccola casa editrice. Ecco cosa farò. Anche se non so se sia un buon farmaco, per questa tristezza desolante, mi premierò così per i miei sforzi falliti.
mercoledì 3 febbraio 2010
"ci sono parole per quasi tutto"
Creare una narrazione, rispetto a qualcosa, significa in qualche modo darle un senso, collocarla all'interno della propria storia.
Per me, però, alle volte, scrivere di qualcosa, o anche solo riviverne i momenti dentro di me, raccontandomeli di nuovo, equivale al buttare fuori. Al rendere "storia" nel senso di racconto, di favola, di qualcosa che è solo invenzione.
Le parole sono la mia magia e la mia difesa, in questi casi.
Riempio pagine e pagine, racconto nel dettaglio tutto, e poi ancora e ancora finchè diventa quasi irreale, finchè diventa qualcosa che non è più mio, ma è solo qualcosa che la mia mente si è inventata, come i racconti che scrivo alle volte.
Devo essere accurata, cesellare ogni sfumatura. Nulla deve sfuggire alla penna che scivola sul foglio.
Strato per strato, parola per parola, cerco di cancellare da me ogni traccia.
E' faticoso. E' un lavoro da più riprese, lo so.
E di solito non riesce mai del tutto, c'è sempre un brandello di realtà che mi conficca gli artigli addosso.
Questa sera la realtà è troppa, troppo forte rispetto alla mia stanchezza.
Non so da che parte cominciare, per scrivere questa storia.
Cerco le parole, quelle giuste, quelle che resteranno inchiodate al foglio e pian piano perderanno vigore. questa sera non riesco a trovarle.
Per me, però, alle volte, scrivere di qualcosa, o anche solo riviverne i momenti dentro di me, raccontandomeli di nuovo, equivale al buttare fuori. Al rendere "storia" nel senso di racconto, di favola, di qualcosa che è solo invenzione.
Le parole sono la mia magia e la mia difesa, in questi casi.
Riempio pagine e pagine, racconto nel dettaglio tutto, e poi ancora e ancora finchè diventa quasi irreale, finchè diventa qualcosa che non è più mio, ma è solo qualcosa che la mia mente si è inventata, come i racconti che scrivo alle volte.
Devo essere accurata, cesellare ogni sfumatura. Nulla deve sfuggire alla penna che scivola sul foglio.
Strato per strato, parola per parola, cerco di cancellare da me ogni traccia.
E' faticoso. E' un lavoro da più riprese, lo so.
E di solito non riesce mai del tutto, c'è sempre un brandello di realtà che mi conficca gli artigli addosso.
Questa sera la realtà è troppa, troppo forte rispetto alla mia stanchezza.
Non so da che parte cominciare, per scrivere questa storia.
Cerco le parole, quelle giuste, quelle che resteranno inchiodate al foglio e pian piano perderanno vigore. questa sera non riesco a trovarle.
sabato 30 gennaio 2010
prima di dormire
questa sera, prima di dormire, sbobinerò mentalmente tutte le nostre conversazioni, lo so.
E fingerò con me stessa che i miei ricordi siano una fedele registrazione, e non siano ondivaghe reinterpretazioni personali.
Scandaglierò ogni sfumatura alla ricerca, schizofrenica, di speranza, e poi di disillusione.
Mi conosco. so che lo farò.
Vorrei essere più forte, più sicura, più serena.
Vorrei poterti dire che non devi preoccuparti, che io potrò sempre essere qui e aiutarti e acchiapparti per il braccio quando inciampi.
Ma so di non poterlo fare, e so che poi quando non ci capiamo, mi resta l'amaro in bocca degli interrogativi irrisolti, e la paura che sia irreparabile.
So che cercherò, alla fine, di capire qual è il gioco, di riuscire a portarmi qualche passo avanti a te, di avere qualche vantaggio sulla tua prossima mossa, per potermi preparare, per poter parare il colpo, per calmare questo senso di bruciore al petto che mi prende quando non capisco. Quando mi sento impotente.
Mamma dice che io sono senza cuore, e se lo dice la mamma sarà pur vero.
mi domando allora perchè, quando io e te parliamo in questo modo e chiudiamo la conversazione senza averla chiusa davvero, a me poi resta questo dolore qui,sotto al seno sinistro.
E fingerò con me stessa che i miei ricordi siano una fedele registrazione, e non siano ondivaghe reinterpretazioni personali.
Scandaglierò ogni sfumatura alla ricerca, schizofrenica, di speranza, e poi di disillusione.
Mi conosco. so che lo farò.
Vorrei essere più forte, più sicura, più serena.
Vorrei poterti dire che non devi preoccuparti, che io potrò sempre essere qui e aiutarti e acchiapparti per il braccio quando inciampi.
Ma so di non poterlo fare, e so che poi quando non ci capiamo, mi resta l'amaro in bocca degli interrogativi irrisolti, e la paura che sia irreparabile.
So che cercherò, alla fine, di capire qual è il gioco, di riuscire a portarmi qualche passo avanti a te, di avere qualche vantaggio sulla tua prossima mossa, per potermi preparare, per poter parare il colpo, per calmare questo senso di bruciore al petto che mi prende quando non capisco. Quando mi sento impotente.
Mamma dice che io sono senza cuore, e se lo dice la mamma sarà pur vero.
mi domando allora perchè, quando io e te parliamo in questo modo e chiudiamo la conversazione senza averla chiusa davvero, a me poi resta questo dolore qui,sotto al seno sinistro.
venerdì 22 gennaio 2010
arrangiati, bambina.
Disse qualcosa tipo "devi renderti conto che quando starai male, e starai male, e ti faranno stare male, lo sai, devi renderti conto che io non ci sarò. Che io sarò lontano. Devi capire questo. E allora cosa farai? Come farai?"
Non so se poi si aspettasse una vera risposta da me.
Credo di no.L'accento non stava sulla domanda, ma ben prima, sull'assenza. Sul non contarci.
"io sarò lontano". Sì lo so.Lontano. Così lontano che quasi mi domando, a volte, se sia mai esistito.
Eccolo il fraintendimento. Ecco il gioco di parole: lontano, sì.
E fingevamo di parlare di distanza geografica, quando la sua fuga era ben più profonda di qualsiasi spazio kilometrico.
O forse di nuovo, sbaglio le parole. Non era fuga, era un gioco di prestigio, o una fata morgana. L'illusione che lui fosse mai stato presente, non solo come miraggio.
Non ho un ricordo preciso (memoria selettiva, sic) del mio tentativo di risposta arrampicato sugli specchi.
So di aver parlato, di aver detto qualcosa sulla forza, sulla fiducia.
Di aver detto che sarei stata capace.
Di aver tenuto il gioco, di aver parlato anche io di kilometri, di giorni, di telefonate, di attese.
Ricordo di aver detto tante cose.
Non mi credette, o forse sì. Che importanza potrebbe avere, ora?
Probabilmente nemmeno l'ascoltò, la risposta, mentre io camminavo avanti e indietro per la cucina, fermandomi ogni tanto vicino al ronzio del frigorifero.
Mi domando perchè mi torna in mente ora.
Forse perchè qualche giorno fa, un amico a cui chiedevo un consiglio informatico ha detto "mi dispiace di essere così lontano, è un casino spiegartelo al telefono. Mi sa che da qui non riesco ad aiutarti...."
Per un attimo mi sono sentita triste, come se si trattasse di qualcosa di ben più serio di una compatibilità tra programmi e sistema operativo.
Stavo di nuovo camminando per casa col telefono in mano. Mi sono fermata, sulla soglia della cucina.
Il frigorifero è diverso ora, l'altro è morto e questo ronza molto meno. E' tutto diverso ora. Ma certe frasi, per un attimo, fanno ancora suonare un campanello.
Ho chiuso la telefonata dicendogli di non preoccuparsi,che qualcosa avrei combinato. E in effetti, qualche ora e qualche smadonnamento dopo, il problema del pc era risolto.
E' tutto diverso ora, se non consideriamo che il motivetto che sento fischiettare in sottofondo è sempre "arrangiati, bambina".
Non so se poi si aspettasse una vera risposta da me.
Credo di no.L'accento non stava sulla domanda, ma ben prima, sull'assenza. Sul non contarci.
"io sarò lontano". Sì lo so.Lontano. Così lontano che quasi mi domando, a volte, se sia mai esistito.
Eccolo il fraintendimento. Ecco il gioco di parole: lontano, sì.
E fingevamo di parlare di distanza geografica, quando la sua fuga era ben più profonda di qualsiasi spazio kilometrico.
O forse di nuovo, sbaglio le parole. Non era fuga, era un gioco di prestigio, o una fata morgana. L'illusione che lui fosse mai stato presente, non solo come miraggio.
Non ho un ricordo preciso (memoria selettiva, sic) del mio tentativo di risposta arrampicato sugli specchi.
So di aver parlato, di aver detto qualcosa sulla forza, sulla fiducia.
Di aver detto che sarei stata capace.
Di aver tenuto il gioco, di aver parlato anche io di kilometri, di giorni, di telefonate, di attese.
Ricordo di aver detto tante cose.
Non mi credette, o forse sì. Che importanza potrebbe avere, ora?
Probabilmente nemmeno l'ascoltò, la risposta, mentre io camminavo avanti e indietro per la cucina, fermandomi ogni tanto vicino al ronzio del frigorifero.
Mi domando perchè mi torna in mente ora.
Forse perchè qualche giorno fa, un amico a cui chiedevo un consiglio informatico ha detto "mi dispiace di essere così lontano, è un casino spiegartelo al telefono. Mi sa che da qui non riesco ad aiutarti...."
Per un attimo mi sono sentita triste, come se si trattasse di qualcosa di ben più serio di una compatibilità tra programmi e sistema operativo.
Stavo di nuovo camminando per casa col telefono in mano. Mi sono fermata, sulla soglia della cucina.
Il frigorifero è diverso ora, l'altro è morto e questo ronza molto meno. E' tutto diverso ora. Ma certe frasi, per un attimo, fanno ancora suonare un campanello.
Ho chiuso la telefonata dicendogli di non preoccuparsi,che qualcosa avrei combinato. E in effetti, qualche ora e qualche smadonnamento dopo, il problema del pc era risolto.
E' tutto diverso ora, se non consideriamo che il motivetto che sento fischiettare in sottofondo è sempre "arrangiati, bambina".
sabato 16 gennaio 2010
cedesi weekend quasi nuovo.
La giornata di oggi è iniziata presto. Come sempre, quando sono a casa dal lavoro e penso, la sera prima: "domattina dormo un po'". Forse se pensassi "domattina mi alzo prestissimo" riuscirei a fregare il mio spirito da bastian contraria e mi sveglierei solo alle 9, non so. Proverò.
Ore 10.30 e ho già rimesso la macchina in garage, i giri della giornata li ho già fatti tutti.
Resta da mettere un po' in ordine qui. E sul tavolo in cucina mi aspetta già la farina, fare il pane mi porterà via...quanto? Mez'ora? Non di più.
Già. E poi resta questo intero sabato, con tutta la sua conseguente domenica.
Ore nuove di zecca, ancora incartate, che già mi pesano addosso.
Il finesettimana è il momento peggiore...anche se devo studiare, rassettare in giro, scrivere. Non è abbastanza per farmi dimenticare il silenzio costante di questa casa.
Questa sera potrei violentarmi quel tanto che basta per uscire e raggiungere una pizzeria e godermi il lusso della cena servita nel piatto, senza poi doverlo lavare io, il piatto. Sì, perchè no? Ma poi?
Non mi piace andare da sola nei bar...non bevo neanche, io.
Già mi fa tristezza l'idea di bere da soli.
Poi ti immagini la scena?
"Barista, un succo di mirtillo! E fammelo doppio, amico, che stasera ho molte cose da dimenticare".
Proprio di grande effetto. Degna di Martin Scorsese.
Ore 10.30 e ho già rimesso la macchina in garage, i giri della giornata li ho già fatti tutti.
Resta da mettere un po' in ordine qui. E sul tavolo in cucina mi aspetta già la farina, fare il pane mi porterà via...quanto? Mez'ora? Non di più.
Già. E poi resta questo intero sabato, con tutta la sua conseguente domenica.
Ore nuove di zecca, ancora incartate, che già mi pesano addosso.
Il finesettimana è il momento peggiore...anche se devo studiare, rassettare in giro, scrivere. Non è abbastanza per farmi dimenticare il silenzio costante di questa casa.
Questa sera potrei violentarmi quel tanto che basta per uscire e raggiungere una pizzeria e godermi il lusso della cena servita nel piatto, senza poi doverlo lavare io, il piatto. Sì, perchè no? Ma poi?
Non mi piace andare da sola nei bar...non bevo neanche, io.
Già mi fa tristezza l'idea di bere da soli.
Poi ti immagini la scena?
"Barista, un succo di mirtillo! E fammelo doppio, amico, che stasera ho molte cose da dimenticare".
Proprio di grande effetto. Degna di Martin Scorsese.
mercoledì 16 dicembre 2009
Definizioni
Se fossi napoletana direi che mi sento "una mappina".
Se fossi milanese userei la parola"rumenta".
Volendo evitare i dialettismi, al momento, sul dizionario, alla voce Alice trovate la seguente definizione: "bolo di cibo e pelo vomitato dal gatto di casa in una giornata di particolare acidità di stomaco".
Gioiamone.
...e comunque sia...fottuto 2009, ti stai giocando le ultime cartucce.
Stai per finire. Com'era la frase?
Merda eri e merda ritornerai?
E' proprio il caso di dirlo. Merdimonio.
Se fossi milanese userei la parola"rumenta".
Volendo evitare i dialettismi, al momento, sul dizionario, alla voce Alice trovate la seguente definizione: "bolo di cibo e pelo vomitato dal gatto di casa in una giornata di particolare acidità di stomaco".
Gioiamone.
...e comunque sia...fottuto 2009, ti stai giocando le ultime cartucce.
Stai per finire. Com'era la frase?
Merda eri e merda ritornerai?
E' proprio il caso di dirlo. Merdimonio.
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domenica 15 novembre 2009
ricordi di infanzia
Fin da bambina ero affascinata dall'Unione Sovietica, o come la chiamavo io, la Russia.
Ho ancora, in giro per casa, faldoni di articoli di giornale in cui si parlava di qualsiasi cosa che riguardasse quel paese, i suoi abitanti e la loro cultura.
Ricordo la gioia quando mio zio al ritorno dal viaggio mi portò una medaglietta, lì la appuntavano, mi disse, sul bavero al primo della classe. disse che c'era anche scritto sopra, ma io quell'alfabeto strano non lo capivo.
Il secondo regalo mi commosse quasi fino alle lacrime.
Era bellissima. E', bellissima.
Avevo persino imparato a usarla, maldestramente, finchè la malinconia non l'ha vinta e ha smesso di funzionare.
Mi piaceva persino la targhetta, quella sì, la capivo.
Perchè noi, a scuola, l'inglese lo dovevamo studiare.
Made in U.S.S.R.
Ho deciso di darle un posto d'onore in casa mia, di nuovo.
In questa casa che sento sempre più mia, solo mia, in una maniera triste di chi guardandosi intorno vorrebbe vedere tracce di qualcun altro, sarebbe meglio dire solitariamente mia.
A forza di guardare solo io oggetti mobili e pareti ho la sensazione che non siano veri, vorrei altri occhi a confermare la loro realtà.
E quale oggetto migliore, per arredare, di una macchina da cucire "made in" un posto che non esiste più?
Ho ancora, in giro per casa, faldoni di articoli di giornale in cui si parlava di qualsiasi cosa che riguardasse quel paese, i suoi abitanti e la loro cultura.
Ricordo la gioia quando mio zio al ritorno dal viaggio mi portò una medaglietta, lì la appuntavano, mi disse, sul bavero al primo della classe. disse che c'era anche scritto sopra, ma io quell'alfabeto strano non lo capivo.
Il secondo regalo mi commosse quasi fino alle lacrime.
Era bellissima. E', bellissima.
Avevo persino imparato a usarla, maldestramente, finchè la malinconia non l'ha vinta e ha smesso di funzionare.
Mi piaceva persino la targhetta, quella sì, la capivo.
Made in U.S.S.R.
Ho deciso di darle un posto d'onore in casa mia, di nuovo.
In questa casa che sento sempre più mia, solo mia, in una maniera triste di chi guardandosi intorno vorrebbe vedere tracce di qualcun altro, sarebbe meglio dire solitariamente mia.
A forza di guardare solo io oggetti mobili e pareti ho la sensazione che non siano veri, vorrei altri occhi a confermare la loro realtà.
E quale oggetto migliore, per arredare, di una macchina da cucire "made in" un posto che non esiste più?
venerdì 9 ottobre 2009
il casino con l'auto intorno.
Qualcuno, con tutte le buone intenzioni del mondo, mi dirà che sbaglio.C
Che a te, semplicemente, non ci devo più pensare.
Ma che farci?
oggi guidando acchiappo l'auricolare per rispondere al telefono...e mi accorgo che è imbrigliato intorno a una serie di oggetti e oggettini.
E così, quando mi fermo, guardo meglio.
Bottigliette vuote, depliant del supermercato, libri, una giacca, oggettucoli inutili, e così via.
la mia macchina sembra di nuovo uno spaccato del mio cervello: di tutto, di più, e tutto questo nel casino più totale.
ti ho pensato.
L'unica volta in vita mia che mi sono lanciata nelle grandi pulizie del mio potente mezzo è stato un giorno che aspettavo la tua venuta.
Lo feci volentieri, assolutamente molto volentieri.
Era come una specie di regalo per te, un farti vedere che facevo queste piccole (enormi) cose per te.
Povera macchinina, ha sperimentato quel breve momento di gloria e splendore e ora è di nuovo un casino.
Tu eri riuscito a darmi davvero tante energie, davvero tanta voglia di fare, di essere, di vivere.
Te la sei portata via, con gli interessi, in quella lunga calda giornata di luglio.
Eppure, a volte, il mio cervello ha una piccola scintilla e ti penso.
Oggi poi, ho guardato quella specie di suk in miniatura che è la mia auto, e ho pensato che, forse, avrei dovuto pulirla un po'. Poi sono scesa. Non ho tolto nemmeno i depliant che infestano i sedili dietro.
Che a te, semplicemente, non ci devo più pensare.
Ma che farci?
oggi guidando acchiappo l'auricolare per rispondere al telefono...e mi accorgo che è imbrigliato intorno a una serie di oggetti e oggettini.
E così, quando mi fermo, guardo meglio.
Bottigliette vuote, depliant del supermercato, libri, una giacca, oggettucoli inutili, e così via.
la mia macchina sembra di nuovo uno spaccato del mio cervello: di tutto, di più, e tutto questo nel casino più totale.
ti ho pensato.
L'unica volta in vita mia che mi sono lanciata nelle grandi pulizie del mio potente mezzo è stato un giorno che aspettavo la tua venuta.
Lo feci volentieri, assolutamente molto volentieri.
Era come una specie di regalo per te, un farti vedere che facevo queste piccole (enormi) cose per te.
Povera macchinina, ha sperimentato quel breve momento di gloria e splendore e ora è di nuovo un casino.
Tu eri riuscito a darmi davvero tante energie, davvero tanta voglia di fare, di essere, di vivere.
Te la sei portata via, con gli interessi, in quella lunga calda giornata di luglio.
Eppure, a volte, il mio cervello ha una piccola scintilla e ti penso.
Oggi poi, ho guardato quella specie di suk in miniatura che è la mia auto, e ho pensato che, forse, avrei dovuto pulirla un po'. Poi sono scesa. Non ho tolto nemmeno i depliant che infestano i sedili dietro.
domenica 27 settembre 2009
Ammissione
Ho spento tutte le luci, tanto l'azzurro del monitor è più che sufficiente.
Non ho bisogno di guardare la tastiera quando scrivo, non più.
Tenere le mani sui tasti aiuta, mi distrae dal mettermele tra i capelli a cercare di soffocare pensieri che non voglio avere.
Ammetto di avere un problema. In questo momento. Sì.
I criteri di un buon clinico per diagnosticare un disagio sono la pervasività del disturbo, il fattore tempo, oltre al malessere percepito.
La cosa che mi preoccupa qui è la pervasività.
Quali aree della mia vita sono al momento danneggiate se non ancora compromesse?
Il lato sentimentale è una merda, a voler essere onesti.
Ho perso le ultime risorse di fiducia e amore verso qualcuno che al momento ha ben altro da fare che pensare a me. Decisamente, ben altro.
Al momento quella che si autodefinisce la mia migliore amica mi dice che sono cinica e irriconoscibile, e chi mi conosce meno mi trova "spenta".
Non riesco ad accettare che qualcuno possa veramente interessarsi a me, sono terrorizzata che si ripeta quello che è "appena" (oh sì il tempo è soggettivo) accaduto: che qualcuno demolisca tutti i miei muri difensivi, mi illuda che non ne avrò più bisogno, che sia una buona idea fidarmi di lui, e poi si accorga che non ero quel che desiderava.
E così..che faccio? Tiro fuori tutto il mio sarcasmo e tutta la mia capacità di scandalizzare e infastidire.
"spiacere è il mio piacere", non faccio altro che mettere alla prova chiunque provi ad avvicinarsi, finchè non si stanca e se ne va una volta per tutte, comprovando la mia teoria che non mi volesse davvero bene.
E sono bravissima in questo. Mettetemi alla prova.
Dimostratemi un qualche interesse. Provate a dare un'opinione su qualcosa che mi riguardi. Chiedetemi di aprirmi a voi anche solo per discutere dei miei gusti di gelato preferiti.
Il lato familiare o affettivo in generale...beh...qui sono il solito asso di briscola io.
L'unico che non riesco a fregare è babbo, che con i suoi lunghi silenzi in disparte non crede ai miei teatrini e senza parere, quando mamma non sente, mi dice: "...sei più terrea del solito..." e mi dice che un giorno starò bene.
Per il resto sono sempre io, sono il jolly. Sono brusca e buffa e non mi preoccupo mai. Giusto? ecco.
Mamma dice che a me non succederà mai di star male perchè non mi importa mai di niente.
Sono secoli che non parlo con lei se non per brevi minuti, soprattutto al telefono, dove è, per forza di cose, più facile non guardarsi negli occhi e tagliare corto.
Il lato lavorativo? Il lato lavorativo sta andando a puttane insieme a tutto il resto.
Da un lato viaggiamo rigogliosi nell'oceano del mobbing, i miei sonni notturni di 6-7 ore sono un ricordo nostalgico, mentre ogni notte mi sveglia l'ansia, o le facce sognate negli incubi.
Ogni mattina mi alzo e vado là, tesa come una corda di violino e torno a casa con la testa che mi scoppia e un sapore acido in bocca.
Dall'altro, la stanchezza, le preoccupazioni, e la tristezza...influiscono sulla mia capacità di stare a galla. Dò il mio meglio, certo. Ma per quanto tempo?
La salute...la salute al momento è meglio di questa estate, anche se non è buona cosa questa stanchezza perenne, questo color grigio diffuso, e lo so che certi stati mentali influiscono anche sul corpo, ma oltre a saperlo non so che fare.
Il mal di gola è perenne in questi giorni, e i crampi, che non dovevano esserci più, tornano, alle volte.
Sono aumentati i giramenti di testa e i dolori alla cervicale. Lazzaretto, a me.
Mi domando da dove sia partito il tumore che ha sparso metastasi su tutta la mia vita...da quale punto di me. Da dove è iniziata la mia cancrena.
Sono i crampi? Sono le parole di altri? E' la paura di non farcela? E' la stanchezza?
Non lo so, non lo so, non lo so quale sia la cosa che mi fa scoppiare a piangere in questi giorni, all'improvviso.
Può capitare di sera, o di mattina, o a cena, o mentre dormo.
O anche, perchè no, mentre scrivo al computer al buio cercando di non pensare, una domenica sera come tante.
E' un problema. Sì. Lo ammetto.
Sulla pervasività, in effetti, non ci sono più dubbi. E nemmeno sul malessere percepito.
Che fare...puntiamo sul fattore tempo? C'è da dire che, al momento, nemmeno lui gioca a mio favore.
Fine. Tolgo le mani dalla tastiera. Le rimetto sul viso. Almeno per un po'.
Non ho bisogno di guardare la tastiera quando scrivo, non più.
Tenere le mani sui tasti aiuta, mi distrae dal mettermele tra i capelli a cercare di soffocare pensieri che non voglio avere.
Ammetto di avere un problema. In questo momento. Sì.
I criteri di un buon clinico per diagnosticare un disagio sono la pervasività del disturbo, il fattore tempo, oltre al malessere percepito.
La cosa che mi preoccupa qui è la pervasività.
Quali aree della mia vita sono al momento danneggiate se non ancora compromesse?
Il lato sentimentale è una merda, a voler essere onesti.
Ho perso le ultime risorse di fiducia e amore verso qualcuno che al momento ha ben altro da fare che pensare a me. Decisamente, ben altro.
Al momento quella che si autodefinisce la mia migliore amica mi dice che sono cinica e irriconoscibile, e chi mi conosce meno mi trova "spenta".
Non riesco ad accettare che qualcuno possa veramente interessarsi a me, sono terrorizzata che si ripeta quello che è "appena" (oh sì il tempo è soggettivo) accaduto: che qualcuno demolisca tutti i miei muri difensivi, mi illuda che non ne avrò più bisogno, che sia una buona idea fidarmi di lui, e poi si accorga che non ero quel che desiderava.
E così..che faccio? Tiro fuori tutto il mio sarcasmo e tutta la mia capacità di scandalizzare e infastidire.
"spiacere è il mio piacere", non faccio altro che mettere alla prova chiunque provi ad avvicinarsi, finchè non si stanca e se ne va una volta per tutte, comprovando la mia teoria che non mi volesse davvero bene.
E sono bravissima in questo. Mettetemi alla prova.
Dimostratemi un qualche interesse. Provate a dare un'opinione su qualcosa che mi riguardi. Chiedetemi di aprirmi a voi anche solo per discutere dei miei gusti di gelato preferiti.
Il lato familiare o affettivo in generale...beh...qui sono il solito asso di briscola io.
L'unico che non riesco a fregare è babbo, che con i suoi lunghi silenzi in disparte non crede ai miei teatrini e senza parere, quando mamma non sente, mi dice: "...sei più terrea del solito..." e mi dice che un giorno starò bene.
Per il resto sono sempre io, sono il jolly. Sono brusca e buffa e non mi preoccupo mai. Giusto? ecco.
Mamma dice che a me non succederà mai di star male perchè non mi importa mai di niente.
Sono secoli che non parlo con lei se non per brevi minuti, soprattutto al telefono, dove è, per forza di cose, più facile non guardarsi negli occhi e tagliare corto.
Il lato lavorativo? Il lato lavorativo sta andando a puttane insieme a tutto il resto.
Da un lato viaggiamo rigogliosi nell'oceano del mobbing, i miei sonni notturni di 6-7 ore sono un ricordo nostalgico, mentre ogni notte mi sveglia l'ansia, o le facce sognate negli incubi.
Ogni mattina mi alzo e vado là, tesa come una corda di violino e torno a casa con la testa che mi scoppia e un sapore acido in bocca.
Dall'altro, la stanchezza, le preoccupazioni, e la tristezza...influiscono sulla mia capacità di stare a galla. Dò il mio meglio, certo. Ma per quanto tempo?
La salute...la salute al momento è meglio di questa estate, anche se non è buona cosa questa stanchezza perenne, questo color grigio diffuso, e lo so che certi stati mentali influiscono anche sul corpo, ma oltre a saperlo non so che fare.
Il mal di gola è perenne in questi giorni, e i crampi, che non dovevano esserci più, tornano, alle volte.
Sono aumentati i giramenti di testa e i dolori alla cervicale. Lazzaretto, a me.
Mi domando da dove sia partito il tumore che ha sparso metastasi su tutta la mia vita...da quale punto di me. Da dove è iniziata la mia cancrena.
Sono i crampi? Sono le parole di altri? E' la paura di non farcela? E' la stanchezza?
Non lo so, non lo so, non lo so quale sia la cosa che mi fa scoppiare a piangere in questi giorni, all'improvviso.
Può capitare di sera, o di mattina, o a cena, o mentre dormo.
O anche, perchè no, mentre scrivo al computer al buio cercando di non pensare, una domenica sera come tante.
E' un problema. Sì. Lo ammetto.
Sulla pervasività, in effetti, non ci sono più dubbi. E nemmeno sul malessere percepito.
Che fare...puntiamo sul fattore tempo? C'è da dire che, al momento, nemmeno lui gioca a mio favore.
Fine. Tolgo le mani dalla tastiera. Le rimetto sul viso. Almeno per un po'.
venerdì 11 settembre 2009
post it
Questo spazio è mio.
Fino a prova contraria.
Mio.
Posso usarlo come valvola di sfogo, come discarica di emozioni avariate, come deposito di parole non dette.
E' il mio spazio.
E al momento voglio usarlo per essere disgustosamente lagnosa.
Ho bisogno di buttarla fuori di me, questa sensazione schifosa.
L'inganno. Ho la sensazione, orrenda, di essere stata TRUFFATA.
Io credevo che certi gesti, certe parole, certe cose, fossero per me e solo per me.
A 30 anni suonati, ancora credevo che potesse essere vero.
Sbagliavo...sbagliavo...sbagliavo.
Me lo ripeto, guardandomi allo specchio.
Che mi rimanda la mia immagine a sillabarmi "stu-pi-da-i-dio-ta-cre-ti-na".
Come cazzo avrò fatto a credere di essere speciale per qualcuno? Che ci potesse essere qualcosa di unico?
Io ho buona memoria, ma a volte mi segno su post it alcune cose importanti da ricordare quotidianamente.
Sul mio frigo campeggia una scritta da anni, e anche sullo specchio del bagno.
Devo trovare il posto giusto dove mettere un altro importante post it, su cui scrivere:
"piccola testina di cazzo, quanto credi ci voglia a riempire la tua assenza? 30 secondi."
A me una penna, presto, prima che io riesca di nuovo a dimenticarmi questa cosa.
Perchè se no, cazzo, ogni volta che ne ho conferma, ci soffro. E le conferme, a quanto pare, non mancano mai.
Fino a prova contraria.
Mio.
Posso usarlo come valvola di sfogo, come discarica di emozioni avariate, come deposito di parole non dette.
E' il mio spazio.
E al momento voglio usarlo per essere disgustosamente lagnosa.
Ho bisogno di buttarla fuori di me, questa sensazione schifosa.
L'inganno. Ho la sensazione, orrenda, di essere stata TRUFFATA.
Io credevo che certi gesti, certe parole, certe cose, fossero per me e solo per me.
A 30 anni suonati, ancora credevo che potesse essere vero.
Sbagliavo...sbagliavo...sbagliavo.
Me lo ripeto, guardandomi allo specchio.
Che mi rimanda la mia immagine a sillabarmi "stu-pi-da-i-dio-ta-cre-ti-na".
Come cazzo avrò fatto a credere di essere speciale per qualcuno? Che ci potesse essere qualcosa di unico?
Io ho buona memoria, ma a volte mi segno su post it alcune cose importanti da ricordare quotidianamente.
Sul mio frigo campeggia una scritta da anni, e anche sullo specchio del bagno.
Devo trovare il posto giusto dove mettere un altro importante post it, su cui scrivere:
"piccola testina di cazzo, quanto credi ci voglia a riempire la tua assenza? 30 secondi."
A me una penna, presto, prima che io riesca di nuovo a dimenticarmi questa cosa.
Perchè se no, cazzo, ogni volta che ne ho conferma, ci soffro. E le conferme, a quanto pare, non mancano mai.
lunedì 31 agosto 2009
mare dentro
A me ricordi il mare
e non per le vacanze
che abbiamo fatto insieme
Ma per il tuo ondeggiare
tra il gesto di chi afferra
e quello di chi si trattiene
...
Mi è tornata in mente questa canzone.
Diverse volte in pochi giorni.
Forse sono solo troppo severa o troppo cinica (me l'avete già ripetuto un sacco di volte, ora basta, grazie).
O è che vedo negli altri il riflesso di me stessa? Riflesso di qualcosa che cerco di seppellire e nascondere e uccidere.
Una versione musical-popolare del cuore rivelatore del vecchio Edgar Allan?
Non so.
A me ricordi il mare...già già. Che poi, a me il mare fa anche un po' paura, non dimentichiamolo.
Ma è così. Non faccio altro che vedere questo, ovunque, maree che afferrano e si trattengono.
Come se non sapessero fare altro. Come se non sapessero prendere una decisione, fare una scelta.
Qual è la cosa giusta?
E perchè mi sembra di non vedere altro che ondeggiamenti, oscillazioni intorno a gesti che vengono compiuti a metà per poi pentirsi sia di averli iniziati che di non averli compiuti.
Oggi avrei voglia di cambiare di posto con chi siede all'altro lato della scrivania..e fare questa domanda. Chissà se qualcuno ha una risposta per me.
In questo momento sono sola, non posso pensare che il mare sia altrove.
Questa inquietudine che sento, la paura di aver già sbagliato TROPPO, di avere preso l'ennesima piccola decisione sbagliata...anche io, a me ricordo il mare.
E mi odio. Quando sarà che impareremo, che imparerò, a non chiuderci da soli le porte in faccia per paura che lo faccia qualcun altro?
e non per le vacanze
che abbiamo fatto insieme
Ma per il tuo ondeggiare
tra il gesto di chi afferra
e quello di chi si trattiene
...
Mi è tornata in mente questa canzone.
Diverse volte in pochi giorni.
Forse sono solo troppo severa o troppo cinica (me l'avete già ripetuto un sacco di volte, ora basta, grazie).
O è che vedo negli altri il riflesso di me stessa? Riflesso di qualcosa che cerco di seppellire e nascondere e uccidere.
Una versione musical-popolare del cuore rivelatore del vecchio Edgar Allan?
Non so.
A me ricordi il mare...già già. Che poi, a me il mare fa anche un po' paura, non dimentichiamolo.
Ma è così. Non faccio altro che vedere questo, ovunque, maree che afferrano e si trattengono.
Come se non sapessero fare altro. Come se non sapessero prendere una decisione, fare una scelta.
Qual è la cosa giusta?
E perchè mi sembra di non vedere altro che ondeggiamenti, oscillazioni intorno a gesti che vengono compiuti a metà per poi pentirsi sia di averli iniziati che di non averli compiuti.
Oggi avrei voglia di cambiare di posto con chi siede all'altro lato della scrivania..e fare questa domanda. Chissà se qualcuno ha una risposta per me.
In questo momento sono sola, non posso pensare che il mare sia altrove.
Questa inquietudine che sento, la paura di aver già sbagliato TROPPO, di avere preso l'ennesima piccola decisione sbagliata...anche io, a me ricordo il mare.
E mi odio. Quando sarà che impareremo, che imparerò, a non chiuderci da soli le porte in faccia per paura che lo faccia qualcun altro?
giovedì 27 agosto 2009
esattezza
Mi manchi da morire.
Scelgo le parole con cura.
Mi manchi. Da morire.
E dire che è una frase così abusata. Verrebbe da dire che ce ne sono sicuramente mille altre, migliori, meno consumate.
Ma non è così.
Questa ha l'esattezza della semplicità.
Sento la tua mancanza come un dolore sordo e oscillante, come un'onda che a volte si ritrae e poi ritorna con fragore.
Sento la tua mancanza in un modo che mi avvelena.
Mamma dice che sono dimagrita. E. mi domanda se sono gli strascichi del mostro, o i tuoi.
E. dice che, nella sua mente, tu e il mostro siete quasi una cosa sola, dice che nei miei occhi si è spenta una lucina.
Lo so. Me ne accorgo perfettamente ogni giorno, allo specchio.
D'altronde le parole hanno un peso. Mi manchi da morire. Qualcosa si è spento.
L'ho sentito distintamente, mentre lottava per sopravvivere, come un gattino che affoga tenuto sott'acqua da mani più grandi di lui.
Ho sentito, e non sono riuscita a salvarla, quella lucina. Forse non ho nemmeno voluto, non lo so.
Ho lasciato che si affievolisse e si esaurisse.
Forse dentro di me speravo che fosse sufficiente. Che bastasse.
Era il mio sacrificio agli dei, cedere una parte di me per salvarmi.
Credevo avrebbero accettato lo scambio. Che mi avrebbero privato DEL TUTTO della sensibilità.
Anestesia totale. Per favore.
Era questo che chiedevo quando ho lasciato affogare la mia gioia di vivere.
Non è così. Lo sento, il freddo del vuoto dentro di me.
Non riesco nemmeno a spiegare a me stessa: sento il freddo, il dolore, la sensazione di perdita, la mancanza, tutto quel vuoto. E contemporaneamente, i cancelli si sono chiusi.
E' un vuoto che alimenta se stesso.
Si è spenta la fiaccola che indicava, a chi avesse voluto guardare bene, la strada per arrivare a me.
E' una sensazione semplice, anche questa. Pulita, precisa, limpida.
Non importa. Non mi interessa, lo so, lo sento, e ne prendo atto.
Non c'è più sentiero o strada per raggiungermi.
Mi manchi da morire. Mi manchi e qualcosa è morto. Fine della questione.
Scelgo le parole con cura.
Mi manchi. Da morire.
E dire che è una frase così abusata. Verrebbe da dire che ce ne sono sicuramente mille altre, migliori, meno consumate.
Ma non è così.
Questa ha l'esattezza della semplicità.
Sento la tua mancanza come un dolore sordo e oscillante, come un'onda che a volte si ritrae e poi ritorna con fragore.
Sento la tua mancanza in un modo che mi avvelena.
Mamma dice che sono dimagrita. E. mi domanda se sono gli strascichi del mostro, o i tuoi.
E. dice che, nella sua mente, tu e il mostro siete quasi una cosa sola, dice che nei miei occhi si è spenta una lucina.
Lo so. Me ne accorgo perfettamente ogni giorno, allo specchio.
D'altronde le parole hanno un peso. Mi manchi da morire. Qualcosa si è spento.
L'ho sentito distintamente, mentre lottava per sopravvivere, come un gattino che affoga tenuto sott'acqua da mani più grandi di lui.
Ho sentito, e non sono riuscita a salvarla, quella lucina. Forse non ho nemmeno voluto, non lo so.
Ho lasciato che si affievolisse e si esaurisse.
Forse dentro di me speravo che fosse sufficiente. Che bastasse.
Era il mio sacrificio agli dei, cedere una parte di me per salvarmi.
Credevo avrebbero accettato lo scambio. Che mi avrebbero privato DEL TUTTO della sensibilità.
Anestesia totale. Per favore.
Era questo che chiedevo quando ho lasciato affogare la mia gioia di vivere.
Non è così. Lo sento, il freddo del vuoto dentro di me.
Non riesco nemmeno a spiegare a me stessa: sento il freddo, il dolore, la sensazione di perdita, la mancanza, tutto quel vuoto. E contemporaneamente, i cancelli si sono chiusi.
E' un vuoto che alimenta se stesso.
Si è spenta la fiaccola che indicava, a chi avesse voluto guardare bene, la strada per arrivare a me.
E' una sensazione semplice, anche questa. Pulita, precisa, limpida.
Non importa. Non mi interessa, lo so, lo sento, e ne prendo atto.
Non c'è più sentiero o strada per raggiungermi.
Mi manchi da morire. Mi manchi e qualcosa è morto. Fine della questione.
venerdì 14 agosto 2009
definizioni

"Non cercate a tutti i costi libertà e piacere in una stagione, per quanto questa stagione sia l'estate, per quanto questa estate sia caldissima e lunga, per quanto questo lungo sonno della fatica si dilati - come un ventaglio- in un 'assenza. Perchè questo è il vero senso della parola vacanza: assenza - vuoto - mancanza."
Sono circa due anni, che l'ho letto, "Diaro di bordo" .
E questa frase l'ho sempre avuta in mente, da allora. Eppure, da bravo stupido animaletto che sono, ogni tanto fingo che non sia vera.
Fa ancora caldo, qui.
Incontro persone per strada, mi guardano braccia e viso, "non sei abbronzata...non hai fatto ferie? una bella vacanza ogni tanto.."
No. Non sono abbronzata. Sì. Sono andata in ferie. Sì. Bella no, ma sicuramente grande, la vacanza, la mancanza, l'assenza.
Ma è colpa mia, che lo sapevo e fingevo di no. Dopotutto, la definizione era lì, luminosa nella mia memoria.
Ma a volte non vogliamo ricordare, non vogliamo sapere, non vogliamo vedere.
Ma anche la schifosa estate, prima o poi se ne va.
Dopotutto, come diceva lui, tutto passa.
Anche l'estate sta finendo, o così dicono.
Stanotte mi sono addormentata con tutte le finestre aperte, e ho fatto la prima ronda notturna per chiuderle, 3 del mattino, la fottuta ora del lupo, l'ora in cui si è soli.
Si è soli e si sente il refolo gelido sotto il lenzuolo. Primo segnale di cedimento della stagione.
Sono rimasta in piedi qualche minuto, ad ascoltare gli odori di casa mia.
C. che ancora viene a farsi qui la doccia, ha lasciato aperto lo shampoo in bagno. Ecco il perchè di questo profumo di albicocca. Non è stato molto tempo fa. Ma ora non so più nulla.
A occhi chiusi, mi vedo davanti la pagina del libro.
È stato molto
tempo fa,
e ora
non so
più nulla
di lei
che una volta
era tutto.
Ma tutto
passa.
C'era anche il testo a fronte, ovvio, ma io Brecht l'ho sempre letto tradotto.
Con queste definizioni scrivo il mio personale dizionario: al momento sono presenti solo la voce "vacanza" e la voce "amore".
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martedì 4 agosto 2009
per favore

Opinioni non richieste, risposte a domande che non ho fatto, teorie a seguito di indizi che vi siete creati da soli.
Per favore.
Smettetela.
Chiamatela pure solitudine, chiamatela se volete incapacità di amare, chiamatela carattere di merda, anche.
Non è un affare vostro.
Per favore.
Non continuate la vostra ridda di ipotesi cretine, lasciate perdere quelle che vi sembrano prove inconfuntabili.
Per favore.
C'è solo una persona che sa la verità. Al limite due. E sappiate che la seconda sono io.
Per favore.
Fatevi i cazzi vostri. O sarò costretta a reagire.
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solitude standing
venerdì 24 luglio 2009
Il mostro(2)
"Mi sembri così strano stamattina! Ti senti bene?"
"Benissimo, mi sento! Da Dio! Buttanazza della miseriazza buttana e figlia di buttanazza porca e fottuta, quantu mi sentu beni! Benissimo mi sento!"
Nella seconda attesa della giornata, Montalbano mi strappa un sorriso.
Forse perchè io non avrei saputo dirlo meglio.
Anche io, in effetti, benissimo mi sento.
Cosa faccio, ora?
Merdimonio. Merdimonio. Merdimonio.
"Benissimo, mi sento! Da Dio! Buttanazza della miseriazza buttana e figlia di buttanazza porca e fottuta, quantu mi sentu beni! Benissimo mi sento!"
Nella seconda attesa della giornata, Montalbano mi strappa un sorriso.
Forse perchè io non avrei saputo dirlo meglio.
Anche io, in effetti, benissimo mi sento.
Cosa faccio, ora?
Merdimonio. Merdimonio. Merdimonio.
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