martedì 25 maggio 2010

canta che ti passa



Dream
Send me a sign
Turn back the clock
Give me some time
I need to break out
And make a new name
Let's open our eyes
To the brand new day
It's a brand new day

domenica 23 maggio 2010

P.R. ....come il bottone di questa giacca

"Per me la vita vale come il bottone di questa giacca,"

La prima volta che ho sentito questa frase, la leggeva ad alta voce qualcuno, da un'intervista sul giornale.
Giovanni Falcone era morto il giorno prima.

Quando l'aveva detta quella frase? Non ricordo. so solo che rispose così a qualcuno che gli ricordava tutte le minacce che pesavano sulla testa. Le minacce che dicevano "ricordati che morirai".

Io avevo 13 anni, ricordo benissimo quel giorno. Era il 23 maggio.


Chi mi conosce un po', ormai lo sa, che il 23 maggio io me lo ricordo tutti gli anni. Come tanta altra gente.
E che sempre me lo ricordo con una frase, la frase di una canzone di Guccini che non c'entra niente, col magistrato Giovanni.

"...e sorridendo come
sa sorridere soltanto
chi non ha più paura del domani..."

23 maggio 1992
Per Ricordo.

giovedì 20 maggio 2010

decisioni

Vorrei raccontarti quello che ho fatto oggi.
Non sono sicura che approveresti, nè che ti interesserebbe. Non tanto per te, quanto per l'argomento.
Oggi mi sono impegnata.
Davvero.
Alla fine ho anche accettato quel piccolo incarico, non che mi piaccia, non che sia gratificante, ma sapevo che questa sarebbe stata la scelta più sensata, in questo momento.
Mi domando cosa ne penseresti tu, se ti chiedessi un'opinione.
Mi piacerebbe che mi dicessi che ho fatto bene. Dopotutto, tutti desideriamo essere approvati, no?
Poi ho scritto. ho cercato di mettere in parole un'idea.
l'unica persona a cui ne ho parlato mi ha detto "se continui a impegnarti in queste cose, finirai sotto un ponte", una sottile allusione al fatto che i miei progetti sono validi sul piano umano, ma non fanno girare soldi.
Cosa diresti tu?
Troveresti inutile questo mio pomeriggio, o ti piacerebbe il mio impegno donchisciottesco?
Continuo a domandarmi cosa ne penseresti tu.
Faccio un leggero sforzo, a non scriverti, per dirtelo. Per sapere la tua opinione.
Lo faccio perchè, più forte del desiderio di condivisione, al momento c'è la paura di disturbare, di infastidire, di appesantire.
E' giusto, questo?
Forse sì, è giusto avere riguardi verso una persona a cui tieni.
Forse no, si dovrebbe sentirsi liberi di esprimere se stessi.
Comunque sia, racconto a me stessa la mia giornata di oggi.
Vorrei sentirmi meglio, vorrei che non fosse così vago, il mio senso di aver fatto la scelta giusta.
Vorrei essere sicura di me, sicura di quello che faccio.
Forse allora non avrei nemmeno bisogno di raccontarlo ad altri, mi basterebbe la mia calma sicurezza.
Dopotutto le mie scelte non coinvolgono altri che me, anche se io le faccio ponderando pro e contro anche su di te, pensa un po'.
Anche su questo, chissà che opinione avresti. Che è sciocco? O che è giusto?
Non lo so.
So solo come mi sento in questo momento. Ed è una parola che non mi piace per niente.

the end

...
...
...
«Mia bella Principessa, il vostro buffo nanerottolo non danzerà mai più. È un peccato, poiché è tanto brutto che forse sarebbe riuscito a far sorridere il Re.»

«E perché non danzerà più?» domandò l'Infanta ridendo.
«Perché il suo cuore si è spezzato» rispose il Ciambellano.
Allora l'Infanta si oscurò in volto e le sue delicate labbra simili a petali di rosa si incresparono in una graziosa smorfia di disprezzo.
«In avvenire fate in modo che quelli che vengono a giocare con me non abbiano cuore!» esclamò, e corse fuori nel giardino.
_FINE_

mercoledì 19 maggio 2010

scandivian artist

interiore

Quando mi sento come oggi, l'unica cosa che riesco a fare è scrivere.
Perchè vorrei parlare, vorrei aprirmi a qualcuno, ma sono frenata dalle ultime volte che l'ho fatto, sono frenata dai risultati e dal mio caratteraccio, probabilmente.
Forse se fossi più coraggiosa ce la farei, a parlare con calma, senza mangiarmi le parole.
Forse se non mi vergognassi di tutta questa mia tristezza.
La vergogna è un sentimento strano, a me fa venire paura di parlare, paura di confidarmi.
Ho paura di cosa penserebbe l'altra persona di queste mie tristezze, ho paura che troverebbe infantili i miei timori, i miei problemi. O più che altro il mio modo di gestirli e i sentimenti che mi provocano.
Guardandomi intorno ho una visione falsata. Me ne rendo conto ma non riesco a vedere diversamente da così.
Mi domando dove ho sbagliato. E poi mi dico che se questa vita la sto facendo a rovescio, devo cambiare qualcosa e andare verso la direzione che volevo...ma è qui il problema.
Io ci sto provando, ad andare in quella direzione. E' questo che poi mi butta giù.
Quante volte ancora potrò sbagliare? E quante volte ancora avrò la forza di provare di nuovo?
Io non sono capace, è questo che mi dice la vocetta in testa. Mi dice che questa è l'ennesima riprova. Quante altre dimostrazioni voglio della mia inettitudine?
Ho finito di scrivere la lettera d'amore per il concorso. La rileggo e penso che anche se non è del tutto vera, è anche molto meno finta di quanto non sembri.
Sarebbe preoccupante, se ci fosse qualcuno che ci si potesse preoccupare sopra.
A volte mi guardo allo specchio e mi vedo. Sono una bomba ad orologeria, ecco cosa sono.
Forse è questa la spiegazione di tutto. Una parte di me è consapevole di questo, e agisce di conseguenza, ma lo fa nell'ombra, senza nemmeno il coraggio di mostrarsi.
Ci sono giorni, come oggi, in cui mi rendo conto che sto davvero aspettando. Ed è brutto dirlo, e brutto anche pernsarlo, ma lo sto facendo. A volte guardo quelle facce e penso "quanti anni ancora?". Perchè nel momento in cui non saranno, nel momento magari in cui si rifugeranno in uno spazio tempo personale e sospeso in cui non ci sarà spazio per me...cosa sarà allora?
Quando ci penso, quando li guardo e penso "quanto tempo ancora?" sento il ticchettio del mio timer farsi più forte. E a quel punto cosa mi tratterrà? Niente, dice la vocetta.
Ma a quel punto, poi, sarebbe così grave? Un albero che cade in una foresta, fa rumore se non c'è nessuno a sentirlo?

domenica 16 maggio 2010

pensiero

Oggi, quando la scala si è piegata facendomi cadere, ho pensato alla morte.
E' una di quelle scale leggere, pieghevoli, che quando la apri per bene arriva coi pioli abbastanza in alto perchè persino io, nella mia piccolezza, possa raggiungere e cambiare una lampadina.
Avrei dovuto bloccarla meglio, ci sono i ganci apposta per impedire che si ripieghi in momenti inopportuni, tipo quando ci stai salendo sopra.
Sono troppo distratta. A cosa pensavo mentre la piazzavo? Non lo so, non ricordo.
Probabilmente al fatto che soffro un po' di vertigini, e che quella scala ha i pioli troppo stretti.
Ricordo però cosa ho pensato subito dopo, quando mi sono ritrovata ad annaspare per un attimo e poi giù per terra.
Ho pensato alla morte. Non che la caduta potesse essere letale, a meno di una grande, grandissima sfortuna.
Non so nemmeno perchè ci ho pensato, ma so che mi capita.
Mi capita di pensarci, e di fare un breve inventario di chi potrebbe soffrirne, o di chi sentirebbe la mia mancanza.
O di quanti giorni passerebbero prima che la cosa si sapesse. Penso a chi è importante per me, mi preoccupo all'idea che quelle poche persone non lo sappiano, non vengano informate.
Come se potessero farci qualcosa, sapendolo. Eppure, quando penso alla morte, mi preoccupo moltissimo di questo. Chissà perchè.
A volte compilo una lista, lascio qualche istruzione, nel caso in cui.
Non si tratta di scaramanzia, è più un bisogno di rassicurarmi, credo. Mi tranquillizza pensare che in qualche modo sarebbe come salutarle, quelle persone lì. Quelle da avvertire, quelle a cui telefonare. Quelle a cui dire anche solo che avevo scritto il loro nome.

l'angolo del cinema

Consigliato a tutti: Happiness di Solondz.


Happiness, sometimes I think
I see you from afar.
When I run to catch you, though,
That's just not where you are.

Happiness, you know I'll get a hold of
You some way.
Until I do, you know I'll keep on
Searching every day.

incontro

Oggi ho incontrato Vlad per la prima volta.
Sta in una mano, una delle mie. Per cui è proprio piccolo.
Ha incastrato il suo nasino millimetrico nella piega del mio collo, e si è arrampicato faticosamente in un angolo della mia spalla.
Dovremo rivederci ancora qualche volta, prima che tutto sia ufficiale.
E' tutto molto strano. Speriamo che vada tutto bene. Mi hanno detto di non affezionarmi, per ora.

giovedì 6 maggio 2010

dove osa il nervosismo

sottotitolo: datemi un kg di farina e un po' di lievito, in una giornata di incazzo tipo oggi, e vi riempirò il forno e non solo.

Nell'ordine, vi presento: spianata alle patate, 2 pizze (ancora da farcire), treccia di pane, girandoline di pane al prosciutto, calzone (enorme, ora che ci faccio caso) formaggio e prosciutto, altra trecciona.
L'ironia del tutto è che non aspetto a cena tutto il settimo cavalleggeri stasera!

mercoledì 5 maggio 2010

sensazione

C'è quel racconto di Carver che finisce così. Con la moglie che caccia il marito di casa, con lui che prima impreca, lancia un oggetto, e poi se ne va. Finisce con lui sulla porta:
"Soltanto una cosa voglio ancora dire".
Ma poi non riuscì a pensare cosa mai potesse essere.

Mi è sempre rimasta in testa questa fine di racconto, e a volte mi torna in mente, così, come stasera.
Forse perchè un po' mi sento così anch'io.
e' una sensazione difficile da spiegare.

C'entra anche il fatto che io, nel mio caos interiore, ho sempre cercato confini esteriori: università, lavoro, scadenze.
Ora che quest'altra scadenza, la seconda laurea, è ormai alle porte, mi sento come colta da una piccola vertigine, perchè mi mancano quei confini certi, quelle scansioni date dal preparare esami, darli, depennarli, e ricominciare.
La vertigine, la voce del vuoto che ci chiama, diceva Milan K., e anche questo un po' mi destabilizza.
Che la voce del vuoto si faccia sentire così suadente proprio ora, che almeno questo traguardo è quasi raggiunto, e che altre cose si affacciano?
La frase di Carver è quella che mi sento meglio addosso, pur non sapendolo spiegare nemmeno a me stessa.
La storia finisce che lui è lì, sulla porta. E io lo immagino così, un po' ridicolo, col cappotto in mano, già mezzo fuori di casa ma ancora aggrappato alla maniglia.

martedì 4 maggio 2010

buon compleanno ad un GRANDE attore

Il momento trash ci vuole.
E ci vuole anche lo spazio auguri, ogni tanto.
Per cui...auguriii!!!!!
Perchè bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare. E a Rocco...tutto il resto :-)