sabato 1 agosto 2009
ritratto in seppia...
Nemmeno qui riesco a dormire, la notte. Non c'è abbastanza aria, qui dentro.
Questo piccolo spazio si satura di me, della mia presenza, del mio respiro.
Mi guardo intorno ed è strano, essere qui. 2 m x 5 circa di stanza, ci entri dentro e ti sembra di vedere tutto attraverso un filtro color seppia.
Il ventilatore antidiluviano che ronza inefficace, la carta da parati beige scrostata, il tavolino traballante, le lenzuola, persino il minuscolo lavabo...tutto ha questa patina polverosa ...seppia, appunto.
Mi sento una specie di detective privato di qualche film anni '40...o un killer di serie b.
Di quelli che vengono a nascondersi in un posto così, a sudare anche l'anima in attesa di fare il loro lavoro.
Se qualcuno entrasse in questo momento, chissà se vedrebbe anche me, in tinta seppia, mentre boccheggio cercando un punto del letto su cui rinfrescare la pelle sudata.
La finestrella, senza tende, dà direttamente sulla sua gemella di fronte, allungando un braccio potrei quasi toccarne il vetro. Immagino che al di là vedrei solo un altro letto in ferro battuto, un comodino zoppo e magari un ventilatore grigio e asmatico.
Mi hanno assicurato che non c'è nessuno, in quella stanza, non devo preoccuparmi di non avere tende nella mia.
Il problema non si pone, la finestra resta sempre spalancata. L'aria, in compenso, resta immobile.
Nemmeno qui, di notte, riesco a dormire.
Continuo a dare la colpa al caldo. Mi fa smaniare, il caldo.
Mi addormento e arrivano i sogni, sgradevoli. Ricomincio a sudare, torna il dolore, sordo.
Ho bisogno di fresco.
Mi hanno detto che posso usare il bagno quando voglio, che non c'è problema. Posso fare la doccia ogni volta che lo desidero.
Mi ha detto che a parte loro, ci sono solo io. Come se avessi un bagno solo mio, alla fine dei corridoi. Posso anche girare nuda se voglio, ma l'altro ha aggiunto che è meglio se mi avvolgo nell'asciugamano almeno, non si sa mai. Mi hanno dato anche l'asciugamano, subito dopo.
In effetti non incontro mai nessuno. La doccia è sempre asciutta, le porte tutte chiuse. Entro ed esco ed è come essere un fantasma.
Solo di notte, ogni tanto, sento qualcuno che tossisce, o che cammina piano, e sembra vicinissimo.
Se non facesse così caldo sono sicura che starei bene, qui.
E' tutto così chiuso e labirintico che i rumori si perdono prima di arrivare, si sente solo un continuo rumore di acqua...una tubatura che perde, o qualcosa del genere.
E dire che le stradine qui intorno, dal tramonto all'alba, rigurgitano puttane ad ogni angolo.
Quando il sole inizia a calare io esco, protetta dagli occhiali scuri, e il loro vociare mi abbaglia.
Ridono forte, qualcuna piange, mi guardano solo per un attimo e subito cercano altrove.
Io passo oltre, è facile cambiare zona e trovarsi nel niente, o in mezzo al traffico.
E' il bello di questo posto. Non ci vuol niente, a sparire.
Mi piace perdermi in mezzo alla gente che sta tornando a casa. Guardare le facce. Sentire le voci cercando di intuire di cosa parlano. Sono abituata a passare inosservata.
Se fossi un killer pagato da qualcuno, avrei un bersaglio a cui mirare, il mio sguardo non vagherebbe così, pigro, da un dettaglio all'altro.
Me ne starei chiusa dentro a riflettere, a ripassare orari e spostamenti. Sul letto, insieme ai pochi vestiti, i ferri del mestiere. Ho portato il caos con me, come sempre. Chissà come sarebbe, con anche una pistola a far parte dell'arredo.
Ho studiato a sufficienza la cartina, cammino per strada con l'aria di chi sa dove va, parlando il meno possibile, per non far trapelare l'accento italiano. Per ora funziona.
Le vecchie mura della città non sono lontane da qui, basta aver voglia di camminare qualche minuto in salita, e fino al tramonto è possibile farsi tutto il percorso qui sopra, un saliscendi di camminamenti in mezzo alle feritoie e ai resti delle torri. Pittoresco, in effeti.
Si vede quasi tutto, da qui sopra, i tetti delle case a perdita d'occhio, i parchi, le montagne sullo sfondo.
Arrivati quasi alla fine, prima di scendere, si aprono due strade.
Una è leggermente più ripida, finisce dritta nella vecchia zona del ghetto, ora formicaio di negozietti di bigiotteria scadente, kebab e tatuatori.
L'altra scende piano, verso un quartiere che conosco meno. Una zona più ricca, a giudicare dalle case, e da quel che occhieggia dalle finestre aperte.
Da questo punto si vede la terrazza, metri sotto, quasi nel centro un uomo col giornale, seduto su una panca a leggere. E' girato verso il sole, la sua testa pelata luccica di sudore, immagino un viso arrossato e il colletto della camicia un po' aperto, sotto.
Anche se si voltasse non credo potrebbe vedere molto, una fila di alberi nasconde chi si trova sulle mura alla vista di chi è sotto.
Penso oziosamente alla caducità della vita. Ai pochi secondi che ci vogliono per scendere nel ghetto, da lì, perdendosi nella folla.
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