giovedì 7 febbraio 2008

"mi faccio sentire io".

Si metta agli atti che era qualche giorno, forse persino nell'ordine delle due settimane, che mi sentivo meglio del solito.
Abbastanza bene da qualche mese, abbastanza capace di sorridere.
Stasera vorrei solo distruggere e devastare tutto ciò che mi circonda, per poi concludere con una pirotecnica esplosione della mia modesta persona.

Ah, non è tanto da persona matura non rispondermi al telefono finchè non ti chiamo col numero nuovo che non conosci.
E quando poi scopri che sono io cambi voce e dici "Ora non posso parlare mi faccio sentire io dai".
Neanche fossi un uomo a cui rompo le palle dopo una notte insieme.
Credevo veramente che ste risposte riuscissero a sputarmele in faccia solo loro.
Carissima mia, spero che la torta che vi state dividendo allegramente sia buona, e che vi vada di traverso a strozzarvi.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Cia o, ho letto tutto il tuo blog. Ti regalo questo breve racconto.

Con il passare degli anni Giorgio, pur perfezionando continuamente le sue speculazioni, si persuadeva sempre più di quanto fosse inutile il tentativo, nel quale aveva deciso di racchiudere il senso della sua esistenza mortale, di disegnare un'immagine perfetta dell'ordine che regge l'universo e di indicare con precisione il ruolo, il posto che ciascun individuo è chiamato a ricoprire all'interno di quest'ordine. Gli era sempre parso che soltanto un'impresa di questo genere, per quanto disperata, potesse giustificare la sua presenza al mondo, darle un senso stabile e sostanziale, strappandola al nulla della contingenza.
Come tutti coloro che hanno intrapreso la sua stessa sovrumana ricerca, anche Giorgio aveva fatto ricorso al concetto di Dio, come creatore dell'ordine universale. Ma la religiosità di Giorgio non aveva nulla di mistico, era anzi fortemente intrisa di razionalità, conforme alla sua rigorosa mentalità logica.
Ben presto si era reso conto che delineare un ordine cosmico che ruotasse intorno all'azione creatrice di Dio e ai suoi imperscrutabili decreti rischiava di ridurre la libertà a concetto vuoto e privo dì senso, senza un oggetto corrispondente nel mondo reale. Giorgio fu spaventato da questa idea: era atterrito dal pensiero che il suo scrivere un libro, il suo andare in Francia, il suo amare una donna fosse predeterminato nell'ordine dell'universo sin dal primo istante della creazione. Da allora ogni suo sforzo era volto a scoprire un nuovo ordine, all'interno del quale fosse possibile sia Giorgio che scrive un libro sia Giorgio che scrive una poesia, Giorgio che va in Francia e Giorgio che resta nella sua terra, Giorgio che ama una donna e Giorgio che ne ama un'altra. Arrivò così ad immaginare che il Dio creatore avesse creato non uno ma più mondi, quello esistente ed altri possibili, in cui si realizzasse la totalità delle possibilità d'essere, passate presenti e future, di ogni uomo. Dio ha creato un mondo in cui Cesare passa il Rubicone e un altro in cui resta sull'altra riva, un mondo in cui Gesù Cristo muore crocefisso e un altro in cui non muore affatto di morte violenta, un mondo in cui Giorgio è un pensatore e un altro in cui è un oscuro lavoratore manuale o addirittura un lenone. Ma Dio, nella sua immensa bontà, tra gli infiniti mondi possibili non può che aver reso realmente esistente il migliore, il più perfetto di questi. La scoperta di questo nuovo ordine cosmico sembrò placare l'inquietudine di Giorgio, restituirgli la libertà che si era sentito sottrarre e al tempo stesso assegnargli nel mondo il miglior posto che potesse toccargli. Ben presto, tuttavia, alla sua mente si presentò una nuova difficoltà a soffocare la gioia della scoperta: come poteva il Giorgio che in un mondo ama Beatrice essere lo stesso Giorgio che in un altro mondo ama Laura? Cosa permette di dire che questi due Giorgi sono la stessa persona, cosa fa di loro un Individuo?
Era ancora alla ricerca di una via di uscita da questa dolorosa impasse quando, nel corso di uno dei suoi frequenti viaggi, giunse in una terra del nord, battuta da un gelido vento. Mentre camminava per le strade solitarie, gli si avvicinò uno sconosciuto dall'aria anonima che, senza essersi presentato, cominciò a parlargli proprio di quel problema che lo tormentava ormai da anni. Ascoltandolo con estrema attenzione e sebbene l'uomo fino allora non avesse detto nulla di illuminante e di risolutivo sul punto che a Giorgio stava tanto a cuore, ma si fosse limitato a ripercorrere, con tono distaccato, quelle difficoltà per lui così inquietanti, Giorgio maturò lentamente l'impressione che sotto le parole a lui tanto familiari dello sconosciuto si nascondessero dei sottintesi, qualcosa di non esplicitato ma che doveva essere ben chiaro nella mente del suo interlocutore. In breve, Giorgio si convinse del tutto irrazionalmente che quell'uomo conosceva la soluzione che lui cercava da sempre.
Per ore avevano conversato camminando, finché non si fece buio; stanchi, andarono a sedersi sulla sommità di un'alta scogliera, a strapiombo sul mare. Molti metri più sotto le onde si infrangevano contro la roccia e coprivano in parte il suono delle due voci. In questo luogo, così fuori dal mondo, lo sconosciuto, ricordandosi di non aver detto a Giorgio il proprio nome, gli confidò di essere Dio. Per un attimo Giorgio pensò di non aver udito bene, il rumore di un'onda doveva aver distorto le parole dell'uomo, ma non ebbe il coraggio di chiedergli conferma di ciò che gli era parso di sentire. Del resto in qualsiasi altra circostanza Giorgio avrebbe preso per matto chiunque gli avesse detto di essere Dio. Eppure in quel caso, forse per la suggestione del posto, forse per lo strano fascino emanato dal suo interlocutore, Giorgio era quasi disposto ad accettare che avesse detto proprio questo.
Lo sconosciuto riprese a parlare, il suo tono sempre distaccato e oggettivo: "Ammiro molto il rigore logico con il quale lei ha giustamente impostato il problema dell'individualità, ma al tempo stesso mi vedo costretto a dirle che servendosi dei suoi strumenti razionali non sarà mai in grado di risolverlo". "Quindi lei mi consiglia di rinunciarvi", replicò Giorgio. "Le voglio venire incontro", fece lo sconosciuto, "e dirle come stanno le cose. Giorgio che in un mondo fa del bene al prossimo e Giorgio che in un altro uccide un innocente sono lo stesso Individuo. Non mi chieda di spiegarle il perché; le basti sapere che è così". Giorgio fu tentato di obiettare qualcosa, ma il suo spirito razionale, di norma così vivo in lui, per un momento gli venne meno. Guardò in basso, verso il mare, fu colto da un senso di vertigine e chiuse gli occhi. Allora ebbe la visione, insostenibile.
Vide lui stesso aiutare un uomo in difficoltà, vide lui stesso sgozzare lo stesso uomo, si vide spogliare cadaveri su un campo di battaglia, si vide morente su un campo di battaglia invocare aiuto, si vide arrancare per salvarsi, si vede buttarsi per suicidarsi, si vide cullare un bambino, si vide uccidere lo stesso bambino davanti alla madre, vide se stesso baciare la donna che amava, e vide anche lei che moriva, si vide seduto al suo scrittoio, si vide bruciare tutto quello che aveva scritto, vide tutto quello che avrebbe potuto fare nel passato, nel presente e nel futuro, ma soprattutto vide tutto ciò sapendo che colui che compiva questa interminabile eppure istantanea serie di azioni possibili era sempre lui stesso, lui in quanto individuo, benefattore e criminale, salvatore e assassino, amante e non amante, amato e non amato, giusto e cattivo.
Riaprì gli occhi e capì subito che l'uomo seduto nell'oscurità al suo fianco era davvero chi aveva detto di essere. Ma non sapeva più chi o cosa fosse veramente lui stesso; cosa teneva insieme le infinite immagini di se stesso che aveva appena contemplato? Qual era allora il suo vero posto, la sua vera terra nell'ordine cosmico che aveva tanto a lungo ricercato e di cui aveva appena avuto la prova dell'esistenza? Si rivolse esitante allo sconosciuto: "Tu sapevi che nessun uomo può sopravvivere a tutto questo. Come si può tollerare la scoperta che l'individuo è un nulla? Ma deve esserci un motivo per cui Tu, infinitamente buono, hai voluto che io vedessi, devo conoscerlo."
Lo sconosciuto, sempre impassibile, riprese a parlare: "Hai costruito con la tua logica rigorosa un modello di universo di cui Io stesso mi sono compiaciuto. In un solo punto sei venuto meno al tuo rigore stringente, quando hai immaginato che Io avessi reso esistente, per te e per tutti gli uomini, il più perfetto dei mondi, il migliore possibile, come se potesse esistere in Me stesso un criterio oggettivo in base al quale Io possa creare alcuni mondi migliori o peggiori di altri. Questo è stato il tuo errore: questo in cui vivi è uno dei tanti mondi che Io ho voluto venissero all'esistenza, uguale in valore a tutti gli altri."
Giorgio ebbe subito la terribile intuizione che quelle parole suggerivano. Giorgio che vive in questo mondo e consacra la sua vita al pensiero non è meglio di Giorgio che in un altro mondo uccide innocenti o tradisce la verità; anche assiologicamente sono lo stesso individuo, la stessa casuale istanza nella mente di Dio. La prima reazione di Giorgio a questa rivelazione fu di lasciarsi cadere verso il basso, verso l'oblio, verso il nulla autentico. Ma in un istante, Giorgio trovò finalmente la giustificazione dell’apparizione di Dio, che prima gli era parsa inspiegabile, e con essa della sua stessa esistenza; si girò a guardare indietro e si alzò. Aveva capito: Dio aveva voluto che quello fosse il mondo in cui Giorgio avesse vissuto la sua vita con gioie e dolori.