domenica 28 febbraio 2010

f.r.

Per quanti giorni mi ricorderò?
non lo so. E' come se a volte le cose si cancellassero dalla mia mente, come se nemmeno fossero state.
Dev'essere che a volte, quando sai già tutto di qualcosa, quando sai già il prima il durante il dopo, come un film già visto, è inutile ricordare. che ne so.
Non è stato difficile, ancora non so se sia stato giusto. Ancora non so se non sia stato, forse, crudele, forse brutale, immergerti nella realtà.
Se dovessi ripetere le parole farei fatica, però ho in mente, al momento, che i tuoi capelli avevano un vago profumo che ricordo, dev'essere che ancora si usa, da ragazzini, lo stesso tipo di shampoo che usavo io tanti anni fa, quando mia madre mi portava in piscina. te l'ho anche chiesto, se per caso anche tu fai nuoto.
Ho in mente che continuavi col dito a tirarti su gli occhiali. Mi hai detto che hai messo le lenti a contatto, da qualche tempo, ma ancora ti danno fastidio, ancora i tuoi occhi non sono abituati e allora a volte rimetti gli occhiali. Anche se non ti piaci tanto così.
Volendo, con un po' di concentrazione, posso ricostruire la mappa dei tuoi pensieri, fino al tuo "tu sei matta".
Mi hai fatto ridere. Io sono matta.Forse hai avuto ragione, per un attimo. Ti aspettavi che non avessi quello che tu chiami coraggio.
Anche se non userei quella parola. In fondo, non ho fatto altro che darti quello che credevi di desiderare.
Come una specie di fata madrina. Tutto qui. Dopotutto, sei tu che mi hai dato quel ruolo scomodo.
La fata madrina. Che sa esaudire i desideri. Ma vedi, è' lì, la fregatura, quando sarai più grande forse lo vedrai meglio. Che a volte, solo a volte, sia chiaro, è meglio non esprimerli, certi desideri. perchè poi potrebbero avverarsi.

lunedì 22 febbraio 2010

ai ricordi

"...scusa, comunque io sono G., piacere".
"veramente ci conosciamo...anche se tu non ti ricordi..quanti anni hai adesso?"
"..quasi 27".
"ecco. allora ne avevi 11, 0 12 forse. Mi ricordo che eri pestifero, mi tiravi oggetti strani dalle scale, e mi urlavi sempre dietro".
"davvero? ero..ehm...vivace...in effetti di viso mi pareva di averti già vista...ma venivi a casa nostra?"
"Studiavo sempre con tuo fratello... per questo mi vedevi."
Momento di ricordanze, davanti al bicchiere di vino.
Continuo a guardarti, per ritrovare nel tuo viso quei tratti resi un po' indefiniti dalla memoria sbiadita.
E. continua a riempirmi il bicchiere, ride del fatto che io non bevo mai e dice che bisogna brindare ai ricordi, ai ricordi, ai ricordi. Gli voglio bene da metà della mia vita, a E. Neanche fosse fratello mio, e non tuo.
Che meraviglia quando ritorna da queste parti. Gli concedo, per la gioia, persino di farmi andare a casa quasi ubriaca, due bicchieri a stomaco vuoto non fanno per me.
Ma avrei voluto che durasse ancora, ieri sera.
Non mi interessa che tu ora fumi e fai l'infermiere, che E. vive lontano e parla sempre al telefono e che io lavoro tutto il giorno e ho le rughe del sorriso.
Per qualche ora mi è sembrato di essere tornata ragazzina, col mio adorato compagno di banco e il suo fratellino pestifero.
Ai ricordi. Cin.

domenica 21 febbraio 2010

i sogni


Io non è che al momento mi senta proprio in un ambiente sicuro e rilassante.
Però ho la stessa postura, e la stessa vitalità di Boo Boo.
Mi sono arrampicata fino alla fine di questa lurida settimana, faticosamente.
Ho paura della prossima,e i miei sogni, fintamente risolutori, lo confermano.
Faccio sempre questi stupidi sogni in cui ciò che più temo si risolve, appena prima che, invece, ciò che più temo, mi schiacci.
tra le ultime volte la più dolorosa è stata in quel maledetto posto pieno di acque e di mele.
Ho sognato che non mi avresti fatta a pezzi, ho sognato che mi avresti abbracciata e avresti detto che mi volevi bene. E quando mi sono risvegliata, al mattino, prima ancora che tu aprissi gli occhi sapevo di aver fatto il sogno sbagliato. Sapevo che significava solo che da lì a pochi minuti sarei diventata un inutile sacco di ossa e di lacrime.
Che schifo, i sogni.
In queste notti di fine settimana ho ricominciato a sognare. Quei sogni del cazzo, proprio come quello.
E adesso ho paura di arrivare a domani. Di vedere che come al solito, di notte ho cercato di aggiustare una realtà franata.

giovedì 18 febbraio 2010

g. 3.25 -3.26

...
Così, al posto del cibo entra il mio gemito,
e i miei ruggiti sgorgano come acqua,
perché ciò che temo mi accade
e quel che mi spaventa mi raggiunge.
Non ho tranquillità, non ho requie,
non ho riposo e viene il tormento!
...

lunedì 15 febbraio 2010

guerrieri di cartapesta

Insisti a chiedere come sto.
Insisti a dire che non ho lo sguardo sereno.
insisti.
Mi blocchi l'uscita, insisti a dire "voi donne, voi donne fate le misteriose. che sarà mai, dai..."
Insisti fino a che tiro fuori un paio di scampoli di pensieri.
Allora boccheggi. Come se ti avessi colpito al plesso solare.
Indietreggi un po', le mani aperte davanti a te: "ah, non sapevo. ah. beh. insomma...non credevo. beh io ecco...devo scappare ora...ecco".
Guerrieri di cartapesta.
Nei giorni in cui mi sento più fragile, come fossi fatta in ragnatela di vetro, incontro qualcuno così, come te.
E penso, allora, che forse non sono poi così fragile, io.
Penso che tu indietreggi e scappi quando io non ho fatto altro che rispondere a una tua domanda. Dopo averti detto, un paio di volte, che non mi sembrava il caso.
Mi domando al mio posto cosa faresti. Se fossi tu, la donna, la misteriosa, quella con lo sguardo poco sereno.
Ti ergi in tutta la tua statura, il tuo pomo d'Adamo tremola un po' all'altezza dei miei occhi e ripeti beh e anche ehm, e poi aggiungi che sì, che devi andare ora. che magari ecco, magari poi mi chiami tu un giorno.
Mi viene voglia, in questi casi, di avere un cerino acceso. Mi sono sempre chiesta quanto in fretta possa bruciare, la cartapesta.

domenica 14 febbraio 2010

Sono semplicemente triste. e' rilassante avere un posto mio in cui scriverlo, in cui poter dire che sono solo e semplicemente triste.
E' quello che sento. E sarà stanchezza, anche. Sarà malinconia, sarà tono dell'umore depresso, sarà pessimismo, sarà fragilità.
Sono triste. di una tristezza plumbea e pesante come un cappotto bagnato.
Al momento mi sento così.
Come la statua in mezzo al laghetto al parc de la ciutadela.
Poi vista da fuori non lo so, come sono, e non è che abbia al momento un'importanza particolare.
io mi vedo come sono dentro, so come mi sento.
So la fatica e l'energia che ci metto, per non affondare del tutto, anche se al momento non pare essere di grande effetto, il mio sforzo.
Però io so che lo sto facendo. non è poco, saperlo, per me.
Credo che presto, appena potrò farlo, fuggirò. Per poco, come sempre. ma senza dire a nessuno, salirò su un treno, di quelli veloci. E arriverò nella città che più amo, così piena di gente e di storia.
Dove, tra l'altro, non conosco nessuno. O comunque, diciamo, dove non incontrerò, è certo, nessuno che conosco. Porterò in giro i miei occhi pieni di temporali e farò visita a quella piccola casa editrice. Ecco cosa farò. Anche se non so se sia un buon farmaco, per questa tristezza desolante, mi premierò così per i miei sforzi falliti.

giovedì 11 febbraio 2010

realtà diverse

Vedo così tanto orrore, ogni giorno. così tanto dolore.
Così tanti occhi sgranati che chiedono "perchè", o "perchè a me?" o anche "perchè proprio questo?".
tutti i giorni, qualcuno mi fa questa domanda. con tante parole diverse.
Vedo questo, e non resto impermeabile. Mi accorgo che, in qualche modo, mi lascia un segno addosso.
Mi sono accorta che ho più bisogno di prima di dire le cose che sento. Il che è strano, perchè già prima io ero una di quelle persone che ti interrompono all'improvviso durante una conversazione scema tra amiche, per abbracciarti e dirti che ti vuole bene.
Questo bisogno di comunicare ciò che sento, soprattutto quando è qualcosa di bello, si è come amplificato.
Miscelato alla mia impulsività, mi rende quasi una...non so...coccolatrice ad orologeria? Non credo ci sia la parola esatta per dirlo. O forse è solo che ho dormito poco e non ho ancora abbastanza cervello sveglio per trovarla.
Però me ne accorgo.
non è che non ho pazienza. No. E' che quando mi capita qualcosa di bello, o anche solo di tiepidamente piacevole, ho bisogno di dirlo, di comunicarlo, di fare una carezza sul viso di chi mi ha regalato quel momento.
E a volte mi sembra che qualcun altro sia invece distante, freddo, o quantomeno passivo, di fronte a tutto quanto. Lento, ovattato, come se non sentisse. E quelle volte allora mi sembra stranissimo, poi, quando il qualcuno mi guarda e parla di velocità e di come le cose gli pare si muovano in fretta. di come gli faccia anche paura, questa velocità con cui vede muoversi le cose e di come tema possa essere distruttiva.
Allora penso, a volte, che anche queste persone mi fanno bene, anche se sul momento mi sento raggelare e schiacciare, da questi discorsi. Allora penso che dovrei, a volte, respirare più profondamente e, non so come, ma farlo, fidarmi del fatto che forse un po' di lentezza non mi ucciderà.

venerdì 5 febbraio 2010

a volte

Me la sono provata 3 volte, la febbre.
Brividi, mal di testa, raffiche di starnuti e carta vetrata in gola.
Soprattutto i brividi, e il mal di testa. Da bambina era febbre, a colpo sicuro.
La provo, la riprovo, e il termometro oscilla tra 35,8 e 35.9.
Febbre da cavallo, sicuramente.
Nemmeno il mio corpo, capisco.
Non sento freddo perchè ho la febbre, ma perchè mi sto semplicemente congelando, a quanto pare. Fa quasi ridere. Credevo di dover abbassare una temperatura già ridicola.
Ci sono sempre più cose che non capisco. Che non so come affrontare.
Pochi giorni fa a qualcuno, qualcuno che qualcun altro ama e con cui aveva progetti, a questo qualcuno hanno dato circa un anno di vita.
All'improvviso, dopo che per anni non hanno visto nulla, nessun'ombra in rapida espansione là dentro, qualcuno si è sentito dire che la sua testa è una bomba ad orolegeria.
Qualcuno che stava progettando una convivenza. Qualcuno che aveva tanti progetti.
Potremmo definirlo un ammutinamento interno.
A volte bisognerebbe non avere corpo, ho pensato.

mercoledì 3 febbraio 2010

"ci sono parole per quasi tutto"

Creare una narrazione, rispetto a qualcosa, significa in qualche modo darle un senso, collocarla all'interno della propria storia.
Per me, però, alle volte, scrivere di qualcosa, o anche solo riviverne i momenti dentro di me, raccontandomeli di nuovo, equivale al buttare fuori. Al rendere "storia" nel senso di racconto, di favola, di qualcosa che è solo invenzione.
Le parole sono la mia magia e la mia difesa, in questi casi.
Riempio pagine e pagine, racconto nel dettaglio tutto, e poi ancora e ancora finchè diventa quasi irreale, finchè diventa qualcosa che non è più mio, ma è solo qualcosa che la mia mente si è inventata, come i racconti che scrivo alle volte.
Devo essere accurata, cesellare ogni sfumatura. Nulla deve sfuggire alla penna che scivola sul foglio.
Strato per strato, parola per parola, cerco di cancellare da me ogni traccia.
E' faticoso. E' un lavoro da più riprese, lo so.
E di solito non riesce mai del tutto, c'è sempre un brandello di realtà che mi conficca gli artigli addosso.
Questa sera la realtà è troppa, troppo forte rispetto alla mia stanchezza.
Non so da che parte cominciare, per scrivere questa storia.
Cerco le parole, quelle giuste, quelle che resteranno inchiodate al foglio e pian piano perderanno vigore. questa sera non riesco a trovarle.

martedì 2 febbraio 2010

e adesso

Non è questione di paranoia...
E' che il mal di testa è tornato. Pressante e quotidiano.
E' che la notizia che aleggiava, devo ammetterlo, da un paio di anni sulla mia testa, è arrivata.
E' che io, a tutte queste cose, non ci vorrei pensare.