Perfer et obdura, dolor hic tibi proderit olim.
Allora, poetastro di merda, mi vuoi dire quando cazzo arriva questo fottutissimo olim?
Inizio a spazientirmi.
In due giorni, e dico DUE giorni, due notizie che mi fanno sentire come un pugno dato forte alla bocca dello stomaco.
Una persona che mi mancherà, e che non vedrò mai più.
Da prima che scoppiasse il caldo estivo forte, da prima degli esami di giugno, non la vedevo.
perchè appunto, c'erano gli esami, e la mia vita che sembrava acquisire senso per poi perderlo di colpo, e poi il lavoro, c'era, da ricostruire.
E così rimandavo.
Pensando che avrei trovato il modo una di queste domeniche, come sempre senza avvertire, come sempre a urlare il mio nome dalla tromba delle scale finchè non sarebbe stata riconosciuta la mia voce, fino a che non sarebbero stati abbracci sulla porta.
Ho rimandato, stupidamente, pensando di avere ancora tempo.
Credevo che avrei potuto farlo, davvero, e così rimandavo a tempi meno convulsi.
E così. E adesso?
E adesso nulla. Cibo per vermi.
Spero che il tuo dio esista da qualche parte, e che si muova, di corsa, per venirti a organizzare un comitato di accoglienza. Di quelli coi fiocchi, ecco.
E poi suona il telefono, e la tua voce che mi fa sempre ridere, la tua voce che mi rilassa e che mi piace sentire.
Tu che mi chiami poco, che hai tanto da fare.
Tu che dovevi passare a trovarmi tra un impegno e l'altro, domani, qualche ora rubata al tuo continuo aggiornarti e lavorare.
Tu che mi chiedi se ho sentito le notizie, e mi dici quello che già so.
E lo sento dalla voce, quello che stai per dirmi: che uno di quelli, soprattutto, ti era caro.
E la tua voce non l'ho mai sentita così triste e insieme così dura, mentre mi spieghi il tuo ruolo ora, mentre anticipi obiezioni che non ti faccio.
Mi dici come stai, per pochi minuti. E poi torni professionale, e mi racconti solo quello che si può dire.
Ma io l'ho sentita, la tua voce. La conosco, la differenza. E non ti posso abbracciare.
Ma tu capisci lo stesso, per fortuna, che partecipo, a mio modo, al tuo freddo dentro.
E allora, dicevo, caro il mio Publius Ovidius Naso, caro imbrattacarte del cazzo, sei pregato di stabilire un olim chiaro e preciso.
Di dirmi QUANDO tutto questo mi sarà utile.
p.s. perchè non bastavano, in questa settimana, le altre notizie...no eh? Non bastava il babbo di F., non bastava quell'altra storiaccia.
No no, non bastava.
giovedì 17 settembre 2009
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3 commenti:
non basta, mai, niente, dolcezza. Il tempo è un vigliacco, altro che galantuomo, e le notizie si accavallano su di noi, dentro di noi, come una bufera di neve.
Sta in te prendere la pala e spazzare il vialetto.
So che è dura, dolcezza, lo so, ma bisogna urlare, tirare pugni al sacco, scopare, se puoi. E ridere, se puoi, ridere, più che puoi.
La sapete quella delle due vecchie signore in villeggiatura sui monti Catskills e una dice: "Mamma, come si mangia male in questo posto!". "Oh si', il vitto e' uno schifo, e oltretutto ti danno porzioni cosi' piccole!". Beh, questo e' essenzialmente quello che io provo nei riguardi della vita: piena di solitudine e squallore, di guai, di dolori, di infelicità... e oltretutto dura troppo poco...
E' così dolcezza, un enorme palata di cacca di cavallo, enorme, come il bene che ti voglio...
L.
grazie, davvero.
Anche tantissmo per le citazioni.
Vorrei solo...avrei solo voluto...poter...non so..proteggere.
ecco.
"...e la vita dell'uomo è solitaria, povera, odiosa, brutale e breve". (T.Hobbes). Altra citazione, altra L.
L.
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